Tag: Nuove Tecnologie

Maturità 3.0

“Le difficoltà svaniscono se affrontate con coraggio” diceva lo scrittore Isaac Asimov,  ma per trovare quel coraggio ognuno si attrezza come può!

A poche ore dall’inizio della prima prova dell’esame di maturità, migliaia di studenti (536.008 per l’esattezza) si preparano a questa fatidica prova facendo un mashup tra nuove tecnologie e vecchie tradizioni!

Sorretti dal banale, ma quanto mai fondato credo del “non si sa mai!” ognuno si affida a riti scaramantici, preghiere e ai classici bigliettini rimpiattati ovunque!  Dentro il fodero della calcolatrice, infilati nelle penne o nel dizionario e, ovviamente, nascosti addosso tra taschini, pieghe dei vestiti e le scarpe.

Nuove tecnologie… Si ma quali?

Sembra infatti che 1 maturando su 6 proverà ad avvalersi di smartphone e smartwatch nonostante i divieti. Il 15% tenterà di nasconderlo in bagno 47% farà di tutto per tenerlo con sé per dare all’occorrenza una sbirciatina.

Se i più ingenui sperano di trovare a colpo quello che cercano con una banale googlata su internet, c’è chi invece farà ricorso a gruppi Whatsapp pronti a elargire suggerimenti, chi si affiderà agli appunti memorizzati sul device oppure alle intelligenze artificiali come ChatGpt.

Del resto gli studenti dicono che si sono avvalsi delle IA anche per prepararsi all’esame. Circa 3 maturandi su 4 hanno usato l’intelligenza artificiale per ripassare gli argomenti principali o per creare dei percorsi multidisciplinari personalizzati.

Se state storcendo il naso ricordiamo ai boomer che ai nostri tempi era prassi usare i famosi Bignami per fare il ripassone prima di presentarsi davanti alla commissione d’esame! Semmai dobbiamo far notare che se pur i Bignami fossero estremamente sintetici e non discorsivi, avevano però il vantaggio di essere precisi e certi!

ChatGpt non lo è altrettanto. Si può incappare in risposte potenzialmente errate o non del tutto corrette. E lo dichiara da solo, in modo chiaro, scrivendolo nero su bianco, direttamente da chi gestisce il servizio, con un disclaimer che strategicamente mette le mani avanti.

ChatGPT potrebbe produrre informazioni imprecise a proposito di persone, luoghi o fatti.

Quindi ieri come oggi non rimane che studiare! Comunque vada, bene o male, nella vita di ognuno le prove sono ben altre e nella maggior parte dei casi non c’è bigliettino o IA che tenga!

Quindi vi lasciamo con questa frase di John Lennon che apre a ben più lungimiranti visioni:

Alla fine andrà tutto bene, se non andrà bene non è la fine.

John Lennon

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Il lavoro nell’era digitale

Come si è sviluppato il mondo del lavoro nell’era digitale?

Sono più le opportunità o le preoccupazioni?  

Il 1 maggio è la festa dei lavoratori in molti paesi del mondo. Una ricorrenza nata per celebrare le lotte per i diritti dei lavoratori, prima tra tutte la riduzione della giornata lavorativa a 8 ore.

Dal lontano 1867, anno in cui venne istituita, sono cambiate tante cose! Il grado medio d’istruzione, lo stile di vita, il mercato del lavoro è completamente diverso come pure le professionalità richieste.

Quali lavori sono richiesti nell’era digitale

Tra i lavori più richiesti nel 2023 secondo un sondaggio di Indeed (uno dei maggiori portali di annunci di lavoro) oltre ai “soliti” ingegneri, farmacisti, commercialisti e medici, troviamo figure professionali nuove legate al mondo del digitale. E-commerce manager, User experience designer, Web developer, Affiliate marketing manager, SEO specialist, Growth hacker e Web analytics manager. Ruoli per i quali le aziende sono disposte a pagare stipendi da 70-80mila euro annui.

Se comunemente l’utilizzo delle nuove tecnologie viene denunciato come strategia per tagliare posti di lavoro, in molti casi hanno aperto nuove possibilità di carriera per chi ha saputo e potuto cavalcare l’onda del cambiamento.

I robot ci ruberanno il lavoro?

Ormai da qualche tempo l’animata discussione sulle IA , come pure le tanto vituperate ChatBot, verte su tematiche etico sociali. Spesso la paura di vedere il proprio lavoro soppiantato dalle macchine si unisce alla diffidenza nei confronti di chi gestisce la miriade di dati che costantemente rilasciamo in rete.

In tante aziende le ChatBot sono già utilizzate da diverso tempo per esempio per il Servizio clienti. Pensate alle risposte automatiche alle domande di primo contatto, spesso questo sistema attivo 24h su 24 fa risparmiare tempo da tutti e due i versanti.

E’ chiaro che le enormi potenzialità delle Intelligenze artificiali non si fermano a brevi chat. L’enorme crescita del valore degli investimenti in questo settore ci fa capire quanto se ne prevede un utilizzo sempre maggiore per esempio nella gestione dei Data Analytics, come raccontato in questo articolo apparso su l’Espresso di qualche settimana fa. Qui si parla di “Gpt per i numeri”, un’intelligenza artificiale che permette il dialogo tra banche dati all’interno dell’azienda o tra aziende diverse ma attraverso un software che umanizza la tecnologia. Ovvero utilizza l’intelligenza artificiale generativa per rendere fruibili a tutti i dipendenti quei dati che all’interno dei data base spesso poco (o male) utilizzati.

L’uomo e la tecnica

Nonostante l’IA mostri capacità indubbiamente superiori a quelle umane in molti campi pratici, siamo sempre di fronte a domini ristretti di conoscenza.

I sistemi artificiali possono essere facilmente ingannati nell’interpretazione di situazioni confuse e circostanze inattese che invece possono essere interpretati dall’uomo in modo corretto. Allo stato attuale non possono fornire soluzioni “originali” hai nostri quesiti in quanto si basano su dati già conosciuti, testi già elaborati dall’uomo stesso.

Queste brevi righe non hanno certo la presunzione di chiarificare una tematica complessa e senza dubbio antica. Come testimoniano gli atti di un convegno tenuto dal teosofo Rudolf Steiner che già nel 1920 diceva:  “Qualche tempo fa ho tenuto una conferenza sulla scienza dello spirito e le scienze tecniche presso la Scuola Tecnica Superiore di Stoccarda, per mostrare come, proprio immergendosi nella tecnica, l’uomo sviluppi quella configurazione della sua vita animica che poi lo rende libero.

Grazie al fatto di sperimentare nel mondo meccanico tutta la spiritualità come annullata, egli riceve la spinta – proprio entro il mondo delle macchine – ad attingere la spiritualità dalla sua stessa interiorità, tramite un’attività interiore. E chi oggi comprende il posto che la macchina occupa nella nostra civiltà, deve dire a se stesso: Questa macchina, con la sua impertinente trasparenza, con la sua brutale, orribile, demoniaca mancanza di spirito, costringe l’uomo, se solo comprende se stesso, a far nascere dal suo intimo quei germi di spiritualità che sono in lui. Facendo da controforza, la macchina costringe l’uomo a sviluppare vita spirituale. Come ho potuto vedere dall’esito sortito, ciò che ho voluto dire quella volta non è stato compreso da nessuno.”

 

Vi lasciamo con la speranza che aldilà del dibattito etico non si perdano mai di vista i diritti dei lavoratori.

 

 

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Intelligenza Artificiale tra fascino e paura

Ti facciamo una semplice domanda. Chi sei? Chi potresti essere? Dove stai andando? Cosa c’è nel mondo? Quali possibilità ci sono?

La Element Software è orgogliosa di presentare il primo sistema operativo di intelligenza artificiale. Un’entità intuitiva che ti ascolta, ti capisce e ti conosce. Non è solo un sistema operativo, è una coscienza. Ecco a voi OS Uno.

(dal film “HER” scritto e diretto da Spike Jonze)

Innamorarsi del proprio IA

Usciva al Cinema 10 anni fa HER, pellicola vincitrice dell’Oscar come miglior sceneggiatura originale nel 2014. Qui il regista e sceneggiatore Spike Jonze immaginava che, in un futuro non troppo lontano (probabilmente il nostro oggi), la tecnologia avesse preso il sopravvento nella vita quotidiana, le persone vivessero costantemente a contatto con i propri device, dotati di funzioni molto avanzate. Talmente avanzate che il protagonista, Joaquin Phoenix, riuscirà ad instaurare una relazione profondissima con il suo OS 1, un’intelligenza artificiale con voce femminile chiamata Samantha.

 

Le sue elevate capacità di ascolto e comprensione, di empatia, di auto apprendimento potevano sembrare in quel momento una visione fantascientifica, ma oggi sono oggetto di un dibattito profondo e filosofico su come questi enormi e veloci progressi informatici cambieranno non solo il mondo del lavoro ma anche il nostro modo di vivere le relazioni.

 

Questo perché la paura è sempre quella di non riuscire a riconoscere più l’umano dal non-umano, ciò che viene pensato e prodotto da una persona e ciò che invece è ad opera di una macchina. E di conseguenza di essere facilmente sostituiti. Ma ancor peggio che le macchine possono essere programmate e utilizzate ad uso e consumo di qualcuno. Scenari apocalittici che effettivamente fino ad ora avevamo gustato con piacere al cinema sgranocchiando pop-corn, ma che vederli così realizzabili oggi ci inquieta un po’ di più.
Gli ambiti applicativi sono molteplici, non solo legati al high tech ma anche all’arte, alla didattica, alla scrittura… addirittura come sostegno psicologico!

Che cosa è un’intelligenza artificiale?

Prima di esprimere pareri intanto facciamo un passo indietro per capire come nasce.

L’intelligenza artificiale (AI) è la tecnologia che consente di simulare i processi dell’intelligenza umana attraverso la creazione e l’applicazione di algoritmi integrati in un ambiente di calcolo dinamico. In pratica l’obiettivo dell’AI è di sviluppare delle macchine dotate di capacità autonome di apprendimento e adattamento simulando il più possibile i modelli di apprendimento umani.

Anche se la fascinazione dell’uomo in tal senso risale addirittura al primo secolo a.C., il termine “intelligenza artificiale” è stato coniato nel 1955 da John McCarthy nel documento in cui lui e altri scienziati richiedevano la conferenza “Dartmouth Summer Research Project on Artificial Intelligence” con la seguente motivazione:

«Lo studio procederà sulla base della congettura per cui, in linea di principio, ogni aspetto dell’apprendimento o una qualsiasi altra caratteristica dell’intelligenza possano essere descritte così precisamente da poter costruire una macchina che le simuli. Si tenterà di capire come le macchine possano utilizzare il linguaggio, formare astrazioni e concetti, risolvere tipi di problemi riservati per ora solo agli esseri umani e migliorare se stesse.»

Da questo i temi principali del campo di ricerca sono stati le reti neurali, la teoria della computabilità, la creatività, l’elaborazione del linguaggio naturale e l’analisi delle capacità di problem solving degli esseri umani.

Il fatto che l’utilizzo di tutto ciò potesse avere un impatto etico e sociale non indifferente!
Lo stesso Stephen Hawking aveva espresso non poche perplessità nelle sue ultime interviste:
«Il successo nel creare l’AI efficace, potrebbe essere il più grande evento della storia della nostra civiltà. O il peggio. Non lo sappiamo. Quindi non possiamo sapere se saremo infinitamente aiutati da AI, o ignorati da essa, o presumibilmente distrutti da essa. A meno che non impariamo come prepararci ed evitare i potenziali rischi. L’AI potrebbe essere il peggior evento nella storia della nostra civiltà. Porta pericoli, come potenti armi autonome o nuovi modi per pochi di opprimere i molti. Potrebbe portare grandi perturbazioni alla nostra economia».

Stephen Hawking aveva espresso non poche perplessità nelle sue ultime interviste: «Il successo nel creare l'AI efficace, potrebbe essere il più grande evento della storia della nostra civiltà. O il peggio. Non lo sappiamo. Quindi non possiamo sapere se saremo infinitamente aiutati da AI, o ignorati da essa, o presumibilmente distrutti da essa. A meno che non impariamo come prepararci ed evitare i potenziali rischi. L’AI potrebbe essere il peggior evento nella storia della nostra civiltà. Porta pericoli, come potenti armi autonome o nuovi modi per pochi di opprimere i molti. Potrebbe portare grandi perturbazioni alla nostra economia».

L’utilizzo nel mondo del lavoro

C’è chi invece valuta gli aspetti positivi.
Intanto è necessario ricordare che l’intelligenza artificiale può essere fondamentale per la sicurezza informatica. Grazie alla capacità di analizzare rapidamente grandi insiemi di dati, è possibile evidenziare e prevedere possibili minacce, così da attivare tempestivamente procedure di difesa evitando perdite di dati, di tempo e spesso anche di soldi.

E a fronte di chi sostiene che “i robot ci ruberanno il lavoro” c’è addirittura chi va in senso contrario!
In un articolo uscito su Forbes pochi giorni fa si prevede invece che l’utilizzo dell’AI abbatterà i costi del lavoro e aumenterà la produttività.

L’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale potrà ridurre lo stress integrando, piuttosto che sostituire, le capacità umane ed anzi, fino ad oggi, l’introduzione dell’AI nelle aziende ha creato più posti di lavoro di quelli che ha fatto perdere (dati OCSE gennaio 2021).

 

L’argomento è molto vasto ed in continua evoluzione. Seguiteci nel nostro prossimo articolo per scoprire qualche utile applicazione delle IA.

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Microchip sottopelle tra fantascienza e realtà

Mentre in Italia imperversa il dibattito sul pagamento in contanti, quanto, come, dove e perché, all’Estero ormai già da tempo c’è chi per pagare porge solo una mano!

Quello che pensavamo fosse possibile sono nei film di fantascienza per qualcuno è una realtà di uso quotidiano.

c’è chi per pagare porge solo una mano

Uno sguardo oltreconfine

In Svezia sono migliaia le persone che già dal 2015 hanno scelto di inserire sotto la pelle un microchip per velocizzare la propria routine quotidiana.

Fare la spesa senza carte o contanti, avere sempre letteralmente a portata di mano i biglietti dei mezzi di trasporto oppure la tessera sanitaria con la propria storia clinica per esempio.

Anche in Svizzera, soprattutto tra i giovani appassionati di nuove tecnologie, pare che questa avvenieristica possibilità sia stata accolta con successo.

A lanciarla Oltralpe è stato un chirurgo plastico, Christian Köhler di Zurigo, che alla “modica” cifra di circa 1.000 euro, riesce ad impiantare sottopelle un sistema di pagamento contactless.

Secondo un sondaggio della Bbc, condotto su 4.000 europei, il 51% degli intervistati prenderebbe in considerazione l’idea di installare un microchip sottocutaneo.

Patrick Pauman, un trentasettenne olandese, che si definisce un “biohackerse ne è fatti impiantare addirittura 32 coi quali può aprire la porta di casa, l’auto, pagare nei negozi e prendere la metro.

Un accessorio quindi che sembra semplificare la vita quotidiana degli utilizzatori, e che, dicono i sostenitori, è un oggetto completamente passivo!

Infatti emette dati solo quando si appoggia la mano su un lettore di carte Nfc. Questo tipo di tecnologia infatti è supportata da comunicazione wireless a corto raggio e ad alta frequenza, permettendo lo scambio di informazioni tra dispositivi, esattamente come avviene nei nostri smartphone.

Questa tecnologia è nota dal 1998, ma solo nell’ultimo decennio è stata resa disponibile sul mercato.
E la Privacy?

Se vi state chiedendo se tutto ciò metta ancora di più a dura prova la nostra Privacy, gli sviluppatori garantiscono che il chip sottocutaneo, a differenza per esempio del GPS utilizzato dagli smartphone, è un sistema passivo. Paradossalmente se uscissimo di casa senza cellulare ma con il chip nessuno saprebbe dove siamo! Nemmeno GoogleMaps potrebbe aggiornarci sulle condizioni del traffico.
Questo non toglie che la maggioranza delle persone guardino a tutto ciò con scetticismo.

Il tema non è solo quello della sicurezza e della salute, anche da un punto di vista filosofico i dubbi sono molti.

gli sviluppatori garantiscono che il chip sottocutaneo, a differenza per esempio del GPS utilizzato dagli smartphone, è un sistema passivo.

Qual è il confine che non è possibile varcare in termini di privacy e sicurezza?

Il legislatore sarà così lungimirante da soppesare tutte le questioni con la dovuta cautela?
Un fatto certo è che questa materia si trova ancora in una zona grigia legalmente parlando.

Il Garante della Privacy si era espresso a suo tempo non vietando l’impianto dei chip sulla base di una scelta personale “in stretta aderenza al principio di proporzionalità (…) e nel rigoroso rispetto della dignità dell’interessato” come si legge nel provvedimento del 2005 in materia di RFID, ma non è possibile alcun tipo di “imposizione”.

Sicuramente la discussione si amplierà in un futuro non troppo lontano, e chissà se qualche bambino particolarmente amante della fantascienza non abbia già richiesto il microchip nella letterina di Babbo Natale.

 

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