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L’era della disconnessione un mondo senza social media

È difficile immaginare un mondo senza social media, dove ogni informazione e contatto non siano a portata di clic. Eppure, per una parte crescente della popolazione mondiale, questa realtà è già tangibile.

Alcune delle piattaforme più onnipresenti stanno diventando inaccessibili in diverse nazioni, sollevando questioni complesse su sicurezza nazionale, protezione dei minori e libertà di espressione.

Che sia arrivata l’era della disconnessione?

TikTok, il gigante dei video brevi, è al centro di una vera e propria tempesta globale. Oltre venti paesi hanno già imposto restrizioni, spinti da preoccupazioni legate alla sicurezza dei dati e all’influenza del governo cinese.

Negli Stati Uniti, un tentativo di divieto totale è stato temporaneamente implementato il 19 gennaio 2025, per poi essere revocato. Tuttavia, la pressione non si è allentata. Paesi come Taiwan, l’Unione Europea, Canada, Lettonia, Danimarca, Belgio e Regno Unito hanno già bandito TikTok dai dispositivi governativi.

L’Australia ha fatto un passo ulteriore, approvando una legge che vieta completamente l’accesso ai social media per i minori di 16 anni. Il Venezuela ha multato ByteDance, la società madre di TikTok, per 10 milioni di dollari a causa della mancata prevenzione di “challenge” pericolose che hanno causato la morte di adolescenti. I fondi sono stati destinati a un “fondo per le vittime di TikTok”.

Le ragioni dietro i blocchi: sicurezza, stabilità e protezione

Le motivazioni che spingono i governi a limitare o bloccare l’accesso ai social media sono molteplici e complesse.

Sicurezza Nazionale e Stabilità Politica

Molti paesi hanno bloccato o limitato i social media durante periodi di instabilità politica o proteste, spesso per controllare il flusso di informazioni e reprimere il dissenso.

  • In Iran, durante proteste su larga scala (come nel 2009 e nel 2019), il governo ha bloccato l’accesso a piattaforme come Facebook, Twitter, YouTube e servizi di messaggistica istantanea.
  • In Myanmar (Birmania), dopo il colpo di stato militare del 2021, Facebook e altre piattaforme sono state oscurate per limitare l’organizzazione delle proteste.
  • Situazioni simili si sono verificate in Uganda e Kazakistan.
  • In Russia, a seguito dell’invasione dell’Ucraina nel 2022, l’accesso a Facebook, Instagram e Twitter è stato bloccato, citando la diffusione di “notizie false”.

Spesso, queste azioni sono giustificate con la necessità di mantenere l’ordine pubblico o proteggere la sicurezza nazionale. Tuttavia, sono frequentemente criticate come violazioni della libertà di espressione e del diritto all’informazione.

Protezione dei Minori e Contenuti Inappropriati

Il dibattito sull’imposizione di un limite d’età legale per l’uso dei social media è tornato centrale.

Dopo il divieto in Australia per i minori di 16 anni e una causa contro TikTok in Francia, la discussione è alimentata dalle crescenti preoccupazioni scientifiche sugli effetti negativi dell’uso scorretto della tecnologia sui giovani.

Il presidente francese Macron ha recentemente dichiarato l’intenzione di vietare l’uso dei social media a tutti i minori di 15 anni, qualora l’Unione Europea non adotti rapidamente una regolamentazione comune. L’obiettivo è bloccare l’accesso alle piattaforme sotto tale soglia d’età con verifiche stringenti, strumenti biometrici e multe salate per le aziende inadempienti. Macron ha definito l’ambiente digitale attuale “tossico”, sottolineando i danni psicologici legati all’uso precoce dei social e il ruolo dei minori in fatti di cronaca violenta.

 

L’Italia e l’Europa: verso una regolamentazione comune?

Anche l’Italia si sta muovendo in questa direzione. Una circolare del Ministro dell’Istruzione Valditara ha esteso il divieto di utilizzo dei telefoni cellulari agli alunni delle scuole secondarie di secondo grado, citando rapporti di OCSE, OMS e Istituto Superiore di Sanità.

In Europa, si sta lavorando per definire una soglia d’età comune (digital-age majority), al di sotto della quale i minori non potrebbero accedere alle piattaforme social senza il consenso esplicito dei genitori. Parallelamente, si discute della necessità di rivedere le “architetture persuasive” – funzionalità come autoplay, feed personalizzati e notifiche – progettate per massimizzare il tempo di permanenza sulle app.

La principale sfida rimane la verifica dell’età: gli attuali sistemi sono facilmente aggirabili. La proposta della Grecia prevede controlli più rigorosi e tecnologicamente avanzati, integrati direttamente negli hardware, una soluzione che potrebbe incontrare resistenza da parte di produttori come Apple e Google.

L’attuale soglia dei 13 anni, adottata come standard da molte piattaforme, deriva dal Children’s Online Privacy Protection Act americano del 1998. In Europa, il GDPR lascia agli stati membri la facoltà di fissare l’età del consenso digitale tra i 13 e i 16 anni, ma questo limite è spesso aggirabile, anche con l’uso di VPN.

Vietare non basta: l’importanza dell’educazione digitale

 

Se da un lato la regolamentazione è necessaria, dall’altro è chiaro che vietare da solo non basta. Se per i minori c’e una forte sensibilizzazione, spesso sono proprio gli adulti ad essere “fagocitati” dal mondo dei social media.

È difficile educare quando si dà il cattivo esempio, soprattutto quando manca una conoscenza approfondita dell’argomento. Non tutti gli adulti hanno le competenze per utilizzare la rete con un approccio critico, attento e rispettoso. Il problema dell’educazione digitale riguarda spesso gli adulti e deve essere affrontato con determinazione.

 

Cosa ne pensi di queste restrizioni? Credi che siano efficaci per proteggere i minori e la sicurezza, o limitano eccessivamente la libertà online?

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